La chelazione, molto in voga da alcuni anni, soprattutto nell’ambito delle terapie olistiche, era inizialmente una procedura medica strettamente controllata, utilizzata in caso di intossicazione da metalli pesanti. Focus sulla chelazione.
Il nostro organismo contiene naturalmente metalli, alcuni dei quali sono indispensabili per numerosi processi enzimatici, funzioni metaboliche, ecc. Tra questi lo zinco, il selenio e il rame (1).
Il cadmio, il mercurio, il piombo, l’arsenico e l’antimonio non svolgono invece alcuna funzione nell’organismo e sono tossici anche a basse dosi. Il nostro organismo contiene anche questi metalli pesanti tossici ma in quantità talmente esigue da rappresentare rischi per la salute trascurabili.
Il ferro e l’alluminio non sono metalli pesanti: il primo è indispensabile per l’organismo in determinate proporzioni mentre il secondo è tossico, benché si faccia ancora fatica a stabilire in quale misura.
Se i principi di funzionamento della chelazione sono stati scoperti già nel XIX secolo, è a partire dalla Seconda guerra mondiale che si registra la loro completa applicazione (2).
Le prime terapie chelanti, utilizzate per trattare le intossicazioni da metalli pesanti nei lavoratori dell’industria e delle miniere,
fanno la loro apparizione negli anni ‘40 e ‘50.Il principio della chelazione è relativamente semplice: si inietta per via endovenosa una molecola che ha la proprietà di fissare i cationi metallici dei metalli pesanti presenti nell’organismo. In questo modo, i metalli pesanti possono essere espulsi tramite le urine contemporaneamente al farmaco utilizzato.
La terapia chelante, ancora in uso oggigiorno, è quindi un protocollo medico d’eccezione riservato ad avvelenamenti gravi che mettono in pericolo immediato la vita dei pazienti coinvolti.
Quando un paziente soffre di determinati problemi di salute o di un’intossicazione accertata, identificati dai medici, possono essere sottoposti trattamenti disintossicanti, tra cui la chelazione. Specifichiamo alcuni scenari.
Ad esempio, si sente spesso parlare della chelazione del calcio tramite il citrato, ma di cosa si tratta esattamente? Per il trattamento di pazienti che necessitano di una depurazione extrarenale, in particolare pazienti con grave insufficienza renale, i medici possono utilizzare protocolli di chelazione del calcio tramite citrato. Questo grazie alle sue proprietà anticoagulanti, indispensabili durante la circolazione extracorporea (CEC) (3).
Il citrato è infatti un acido organico debole che entra nel ciclo degli acidi tricarbossilici sotto forma di acido citrico. La sua azione anticoagulante si basa sulla chelazione del calcio ionizzato plasmatico, insieme al quale forma un complesso diffusibile.
Vediamo quindi che non è per disintossicare l’organismo da un eccesso di calcio che il citrato viene utilizzato in medicina come agente chelante, bensì per la sua azione anticoagulante.
In realtà l’ipercalcemia (eccesso di calcio) di solito non viene trattata con la chelazione ma semplicemente con una maggiore idratazione (salvo casi specifici per i quali è necessario l’uso di farmaci). L’idea è semplicemente quella di favorire l’espulsione del calcio attraverso le urine.
Essendo l’alluminio presente nell’organismo sotto forma di cationi, in caso di intossicazione rappresenta un candidato ideale per la chelazione tramite acido etilendiamminotetraacetico (EDTA), composto organico che si lega in particolar modo ai cationi metallici (4).
L’alluminio è il terzo componente della crosta terrestre dopo l’ossigeno e il silicio. Pertanto, il nostro organismo vi è costantemente esposto attraverso l’alimentazione e la respirazione. Ma tale esposizione è accresciuta dall’uso intensivo di questo metallo nell’industria, comprese quella cosmetica e quella farmaceutica, per le numerose proprietà e il costo contenuto dell’alluminio.
Eppure, la determinazione dell’impatto sulla salute umana di questa esposizione è ancora un argomento molto controverso ed è quindi difficile stabilire l’effettiva necessità della chelazione dell’alluminio.
Il grafene non è un metallo pesante ma un derivato del carbonio, sempre più utilizzato sotto forma di nanoparticelle nelle nuove tecnologie: touch screen, computer sempre più potenti, cellule fotovoltaiche, ecc.
Si tratta di un prodotto miracoloso per l’industria ma preoccupante per i ricercatori, i quali vorrebbero valutarne più precisamente la potenziale tossicità sull’essere umano prima che il suo utilizzo si diffonda. La sua tossicità è ancora controversa in seno alla comunità scientifica (5).
Al momento però, ad eccezione del personale che lavora nelle fabbriche che utilizzano il grafene, le intossicazioni da grafene sono molto improbabili in quanto le quantità a cui sono esposti i nostri organismi sono trascurabili.
Tuttavia, alcuni naturopati consigliano l’applicazione di protocolli di chelazione del grafene, principalmente a base di piante come la clorella.
Nemmeno il ferro fa parte della categoria dei metalli pesanti. Tuttavia, un’eccessiva quantità di ferro nell’organismo può provocare disturbi generici come astenia, perdita della libido, dolori articolari.
L’eccesso di ferro è comunque raro e riguarda principalmente le persone affette da emocromatosi o quelle che hanno effettuato una cura prolungata con integratori a base di ferro senza esserne carenti.
Tuttavia, per contrastare il ferro in eccesso, i medici procedono a volte con una terapia chelante a base di deferoxamina o più raramente di EDTA (6).
Neanche lo zolfo viene classificato come metallo pesante. In realtà, quando si parla di chelazione dello zolfo, si sta parlando di una disintossicazione a base di chelanti solforici. Si ritiene infatti che alcuni composti solforici, come il metilsulfonilmetano, abbiano importanti effetti chelanti. I loro sostenitori affermano che questi ultimi si legano particolarmente bene all’arsenico e al mercurio.
Uno dei principali effetti collaterali riscontrati nella terapia chelante endovenosa, in particolare tramite EDTA, è un’ipocalcemia potenzialmente molto grave o addirittura fatale. In caso di chelazione mal eseguita, i sintomi più frequenti riscontrati sono ipotensione arteriosa, vomito, affaticamento, cefalea, convulsioni, dolori muscolari e articolari (7).
Da diversi anni le terapie chelanti stanno acquisendo popolarità, in particolare nell’ambito delle medicine alternative non convenzionali. Secondo numerosi terapeuti, la chelazione potrebbe rivelarsi una terapia efficace contro l’autismo, alcuni tumori, il morbo di Alzheimer o il morbo di Parkinson.
Tuttavia:
In ogni caso, la terapia chelante endovenosa è una procedura medica rigorosa che deve essere imperativamente correlata a diagnosi, trattamento e follow-up medico, soprattutto se si ritiene di essere realmente intossicati da metalli pesanti.
Tuttavia, alcune persone optano per la chelazione orale, facilmente accessibile, nell’ottica di depurare l’organismo da ogni minima traccia di metalli potenzialmente dannosi o tossici. A tal fine, vengono utilizzate diverse sostanze (se desideri provarle, chiedi prima il parere di un professionista sanitario):
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